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no furore, la principessa. E qu, tutti si rdinano; rico-
mincia la msica, cui aggingesi un picchiamento di un-
ghie sopra la tvola per imitar lo scarpiccio e& via. La
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reggia imbianca, cancllasi a poco a poco: dietro di essa,
come ne cromatropi, disgnasi una seconda scena.
Gran piazza; l attornia una tiritera di prtici; in
fondo, chiesa: sul dinanzi da un lato, un albergo con in-
segna sporgente; dall altro, un edifizio di carta grigia la
cui soprascritta porta: asilo infantile. Sebbene il cielo
stia pinto a un immacolato sereno, i signori burattinisti
avvisano di rappresentare: tempo cattivo. Difatti, la luce
che piove gluca, fredda come in una palude: tu, istin-
tivamente aspetti, dalle quinte un rospo.
Ma s ode il crocchiar d una toppa.
Invece del rospo, dall asilo infantile, esce un collegia-
linuccio, in tnica azzurra, il moccichino appiccato alla
cntola, in mano la cartelletta& Erbette in minestra! chi
scorgo! Ma sono io, coli, io stesso. Ecco i mii capelli
ricci, il mio bel naso all ins, le mie labbra sottili& per-
fino un certo piccolo neo, alla dritta, sul ciglio& oh oh,
chi os mai?
Rataplan: in risposta, uno stamburamento.
Nasce, da lungi, un rumore simile a quello di molte
dita a pzzico, battute su gonfie gote (cavallera in galop-
po) poi, il patat-patat si moltplica; mscolavisi tintin-
no di sonagliuzzi, squilli di casserole e uno scucchiaro
come di mano che frughi, convulsa, in una cesta di posa-
te d argento.
Appjono i primi fanti; ciascuna fila somiglia ad una
spiedata di quaglie& E pssane, pssane, arrvano i ca-
valieri, corazzati in stagnolo; certo, de cavalieri eccel-
lenti per durarla in sella con i sopranaturali salti, con lo
sprangar di calci violento, delle loro gran lepri; infine,
su n elefante, spunta, velata, la graziosa Tripilla, frmasi
a met piazza e, dopo qualche infruttuoso tentativo, si
scopre.
O sfolgoreggiante belt! Chi la vede, imminchionisce:
agghicciasi sotto gli sguardi di lei il pispino di una fon-
tana. Quanto a m, il che viene a dire& quanto alla mia
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brutta copia, rimango quasi acciecato, mi si allarga la
bocca, mi si sbrrano gli occhi (avo movbili queste due
parti, indizio della importanza mia nella comedia) in-
somma mostro un tal viso abbagliato che S.A. non pu
non addrsene.
Allora, ella pispiglia non-so-che nel braccio della sua
dama, baronessa Bacherzzola: un fischio! e, tutto
l esrcito, l elefante compreso, d in un precipitoso mo-
vimento; tanto precipitoso che i soldatucci, per meglio
crrere, non tccan pi suolo e ingarbugliando fili di
seta e di ferro vanno ad ammontonarsi in mezzo alle
quinte.
Gabinetto di S.A.R. - Si arreda con molte sedie e con
tvole introdotte dall alto, si ppola con le slite dame e
damigelle d onore. Entra la principessa: essa va ad acco-
modarsi, per quanto glielo permttono le giunture, su
na poltrona. Dopo il silenzio di pochi momenti, in cui
spicca il ronzo addormentatore di una fontana& tac&
tac alla porta.
Chi ? -
un messaggiero; quel messaggiero in ferrajolo ros-
so, dagli sterminati baffi arricciati, che mi recava una let-
terona stracotta della graziosa Tripilla. Ei viene per an-
nunciarmi; trincia de minuttici inchini e& Ma qui gli
succede cosa imprevista; nel cmpiere una magnfica ri-
verenza, stramazza sul palco col suo filo di ferro&
Allora un manone grassoccio, dai tozzi diti e dalle un-
ghie cimate, discende, prestamente il raccoglie: risetto
beffeggiatore dietro le tele e la rappresentazione conti-
nua.
Rapito il messo, spazzate via le dame, chi, se non io,
dova squintarsi? E invero, Ego compare nel suo bell ar-
nese delle domniche, Ego che, in sulle prime, tremante,
incoraggisce poi e comincia a spifferare a Tripilla una
pippionata d amore. Ma quella, con uno sguardo rimu-
ginante, lo tira sbito fuor di rotaja, lo confonde talmen-
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te che Ego, persa affatto affatto la scherma, le si butta al-
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