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«Mi dici ora quel che accadde quando Bonnie venne qui?», pretese di sapere. «Me la propini o no
quella porche-ria?».
All'improvviso bussarono rumorosamente alla porta. Poi un'altra volta e un'altra ancora, come se là fuori
ci fosse più d'una persona.
«No, Jeremy», disse G.G., guardando dritto verso di me, «non farlo».
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Lo guardai negli occhi e di nuovo vidi Belinda. E fu come se queste parole le avesse appena pronunciate
quella dolce e assennata ragazzina.
La bussata si fece più insistente. Blair la ignorò. Conti-nuò a fissarmi.
«Blair, capisci?», domandai. «Siamo vicini a quello che temevamo. Io non devo dire nient'altro a
nessuno. E nean-che tu».
«G.G., apri quella cazzo di porta, maledizione!», disse Blair.
I reporter, affollatisi nel corridoio, portavano i giornali del mattino. Avevano in mano le nuove edizioni di
The World This Week, la prima edizione del Los Angeles Times e il rotocalco newyorchese News
Bulletin.
«Hai visto queste storie?». «Hai da fare commenti?».
L'INFERMIERA DICE TUTTO. BONNIE, LA FIGLIA E IL MARITO IN TRIANGOLO
AMOROSO. RITRATTI PORNO DELLA FIGLIA DI BON-NIE. LA FIGLIA DI BONNIE
SCAPPA DAL PATRIGNO PER ANDARE A UN APPUNTAMENTO CON UN PITTORE DI
SAN FRANCISCO. BONNIE, DIVA DI "VOLO CHAMPAGNE", ABBANDONA LA FIGLIA
ADOLE-SCENTE PER IL MARITO PRODUTTORE. BELINDA ANCORA IN FUGA.
«Be', Rembrandt», disse Blair al di sopra della calca. «Penso proprio che devi farti vedere».
3.
Durante tutta la mattinata, mentre la gente formava una coda di due isolati davanti alla galleria di Folsom
Street, arrivavano notizie per televisione, radio, telegrammi in portineria e telefonate da George e Alex su
una linea privata che era stata installata per l'occasione.
Erano state aggiunte altre tre linee ma, ora che i giornali scandalistici s'erano gettati sulla storia, la
situazione era an-cora peggiorata, con telefonate di odio che arrivavano anche da posti remoti come la
Nuova Scozia. La segretaria di Dan, Barbara, adesso stava a casa mia a tempo pieno, risponden-do con
la stessa velocità di una segreteria telefonica.
Chiamavano persone di ogni tipo: infermiere, parame-dici, un artista che era stato assunto da Marty, due
miei vicini che mi avevano visto con Belinda: tutti spacciavano evidentemente per vere le loro storie.
Critici cinematografi-ci ripescarono le loro vecchie recensioni sulla presentazione a Cannes di Colpo
grosso. Quelli della TV e della radio erano troppo prudenti per usare parola per parola i resoconti dei
giornali scandalistici, ma un mezzo d'informazione si ali-mentava dell'altro con crescente disinvoltura.
Notizie di incendi, inondazioni, eventi politici continuavano a essere riportate come prima, ma noi
eravamo lo scandalo del giorno.
I telegiornali del mattino piazzavano in prima pagina un'intervista in diretta, a Los Angeles, ai dirigenti
della Teatrali Uniti, che negavano di essere minimamente a conoscenza della presunta scomparsa della
figlia di Bonnie, Belinda, insistendo di non saperne niente della distribuzio-ne di Colpo grosso.
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Volo Champagnesarebbe stato trasmesso quella setti-mana, come programmato, dissero gli annunciatori
televisi-vi. Non avevano nulla da aggiungere sulle voci secondo le quali le loro affiliate del Sud stavano
per dissociarsi dal programma.
Ripetutamente, "castigati" particolari dei dipinti appa-rivano in rapida successione sugli schermi: la testa
di Belin-da col velo della Comunione, Belinda truccata da punk sul cavallo da giostra, Belinda con le
trecce che danza.
Le telecamere beccarono la macchina di zio Daryl mentre cercava di lasciare il Beverly Hills Hotel. Dal
fine-strino aperto lui disse: «Posso subito dirvi, Dio me ne è testimone, che mia sorella Bonnie non
sapeva che sua figlia vivesse con quell'uomo a San Francisco. Non capisco perché la mostra non sia
stata chiusa».
Nell'ultima edizione del mattino, il Chronicle piazzava una foto di G.G., me e Blair, presa nell'ingresso
dello Stanford Court. SAPEVA BONNIE DEI DIPINTI DI WALKER? Due ragazzi dell'Haight
affermavano di aver conosciuto Belinda. Per loro era «selvaggia, pazza, un sacco divertente, uno spirito
veramente bello» e dicevano che a giugno era scom-parsa dalla strada.
Quando su Channel 5 fu trasmesso il telegiornale di mezzogiorno, vidi sullo schermo le riprese in diretta
di casa mia, mi alzai, mi affacciai alla finestra principale e vidi le telecamere. Quando tornai in cucina,
erano passati a inqua-drare il Clift, il lussuoso albergo del centro, e il reporter in scena parlava della
chiusura del salone di G.G.
Cambiai canale. Di nuovo, in diretta da Los Angeles, la faccia e la voce inconfondibile di Marty
Moreschi. Aveva gli occhi socchiusi, sotto il sole della California, mentre si rivolgeva ai reporter, in quella
che sembrava un'area di parcheggio pubblica.
Alzai il volume, poiché stava squillando il campanello.
«Senti, tu vuoi il mio parere!», disse con il suo abituale e inconfondibile accento di strada newyorchese.
«Voglio sapere dov'è, è questo che voglio sapere. Ci sono qui diciotto quadri con lei nuda, che si
vendono a mezzo milione di dollari al botto, ma dov'è Belinda? No, non dovete chiederlo a me: sono io
che lo chiedo a voi!». Poi, col dito puntato verso il reporter come se fosse una calibro 38: «Abbiamo
ingaggiato detective che hanno messo sottosopra l'America per lei. Siamo stati preoccupati da morire a
causa sua. Bonnie non aveva idea di dove fosse. E adesso a San Francisco questo pagliaccio dice che lei
viveva con lui. E che consentiva a farsi ritrarre. Col cazzo!».
«Sapevo che avrebbe scelto questa linea di condotta», disse Dan. Era appena entrato in cucina. Aveva
la barba non rasata e la camicia in disordine. Avevamo dormito tutt'e due senza spogliarci, ascoltando la
segreteria telefonica e la radio. Ma lui non era più arrabbiato. Era invece concentrato sulla strategia.
«... vieni fuori e dici che lei è scomparsa?», urlò Marty. «E chi l'ha rapita? E ora scopriamo che questo
artista per bambini di fama mondiale era occupato a dipingere ogni particolare della sua anatomia!
Pensate che non sapesse chi era lei?».
«È furbo. È veramente furbo», disse Dan.
«È una provocazione», dissi. «È stata una serie di provocazioni fin dall'inizio».
Marty entrò in macchina. I finestrini furono chiusi. La limousine si spinse attraverso lo scintillio dei
microfoni d'argento e le teste che accennavano un saluto.
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Usai di nuovo il telecomando; la conduttrice della trasmissione su Channel 4: «... dal distretto di polizia di
Los Angeles conferme che nessun verbale di scomparsa è stato mai presentato riguardo alla sedicenne
Belinda Blanchard. Belinda ha ora, tra parentesi, diciassette anni, e non si sa ancora dove se ne sta
nascosta. Suo padre, lo stilista-parruc-chiere di fama internazionale George Gallagher, ha confer-mato
stamane di non sapere dove lei sia e di essere impa-ziente di ritrovarla».
Il campanello ora squillava incessantemente. Bussa-vano.
«Come mai non apri?», disse Dan.
«Credi che là fuori ci sia lei?», domandai.
Mi diressi verso le tendine merlettate. Reporter sugli scalini, l'operatore TV proprio là dietro.
Aprii la porta. Cynthia Lawrence teneva in mano una copia aperta del Time, che era arrivata in edicola
meno di un'ora prima. Avevo visto l'articolo?
Me la feci dare. Impossibile leggerla in quel momento. Mi subissavano di domande non solo lei, ma
anche gli altri più giù, sugli scalini e sul marciapiede. Scandagliai la scena: la folla in mezzo e i ragazzini
all'angolo della strada, la gente sui terrazzini degli appartamenti. C'erano due uomini in borghese
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